Movimento dei forconi

La storia Tibet, suicidi di protesta una monaca si da' fuoco La ventenne buddhista e' la prima donna a scegliere il sacrificio

E' morta dopo essersi data alle fiamme Tenzin Wangmo, una giovane monaca TIBETana di 20 anni, la nona persona a immolarsi dal marzo di quest'anno, ma la prima donna in assoluto a morire in un gesto di questo tipo. Probabilmente e' la quinta a morire da quando questa nuova forma di protesta ha cominciato a estendersi sull'altipiano TIBETano. Prima di morire, la monaca avrebbe gridato «TIBET libero!> > e invocato la liberta' religiosa e il ritorno del Dalai Lama. Le informazioni sul tragico caso di Tenzin Wangmo provengono dall'organizzazione pro-TIBETana Free TIBET, con sede a Londra, e non sono state per il momento confermate in modo indipendente ne' dal governo cinese, ma si inseriscono in un inquietante contesto che ha visto il costante aggravarsi della situazione sia nel TIBET propriamente detto che nella vasta area TIBETana ora divisa tra altre regioni amministrative cinesi. Da quando una violenta protesta ha scosso il TIBET nel marzo del 2008, poco prima dei Giochi di Pechino, la repressione si e' fatta molto acuta. Uno dei luoghi piu' segnati dall'inasprirsi della repressione e' stato il monastero di Kirti, nella provincia di Aba, nella regione cinese del Sichuan, dove sono avvenute quasi tutte le immolazioni (a parte quella della monaca, proveniente dal monastero femminile di Dechen Chokorling nelle vicinanze). La prima, del monaco Phuntsog, 21 anni, era avvenuta proprio nel giorno del terzo anniversario dell'insurrezione del 2008. Da allora ad oggi, oltre a una totale mancanza di progressi nel dialogo con il Dalai Lama e con la comunita' internazionale, Pechino ha imposto una linea di ancora maggiore sorveglianza, un'effettivo coprifuoco militare, che ha portato a un semi-svuotamento del monastero di Kirti, da 2500 a 600 monaci, e continuamente monitorato dalle forze dell'ordine cinesi. Dopo il decesso di Phuntsog le autorita' hanno punito decine di monaci con pene detentive di varia entita', condannandone tre a 10-13 anni per aver «assistito» il compagno nell'immolarsi. Anche i familiari del monaco sono stati detenuti e interrogati, mentre un sentimento crescente di terrore si e' andato diffondendo nell'intero TIBET. Lo stallo sembra totale: mentre Pechino punta i piedi ed attende di domare il TIBET con la durezza e nell'attesa della morte del Dalai Lama, molti perdono le speranze, e decidono che nessun gesto e' troppo estremo per attirare l'attenzione. Secondo Nicholas Bequelin, di Human Rights Watch, «questi incidenti senza precedenti sono solo un riflesso dell'impatto delle misure repressive imposte ai TIBETani dalle proteste di massa del 2008». Nel frattempo, mentre il Dalai Lama ha annunciato di voler essere lui stesso a decidere della sua prossima reincarnazione (una pratica consentita dal lamaismo TIBETano, che risulterebbe in una «emanazione» del Dalai Lama stesso, in un nuovo corpo fisico da lui selezionato), Pechino ha reagito con scherno, dichiarando non teologicamente corretta la posizione del capo spirituale TIBETano, e ripetendo che la 15a reincarnazione del Dalai Lama sara' stabilita da prelati scelti dal Partito Comunista - come avvenne per la selezione del Panchen Lama, la seconda carica spirituale TIBETana. Se la decisione di membri del Partito Comunista di selezionare una reincarnazione ha elementi surreali, nei monasteri TIBETani, immolazione dopo immolazione, in tanti denunciano ormai di non poterne piu' della repressione. (La Stampa - 19 Ottobre 2012)