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I più grandi evasori ITALIANI! LE BANCHE




La testa in Calabria
e gli investimenti fuori:
un business che vale
milioni di euro

La ‘ndrangheta è un franchising. Un’azienda che ha la sua testa in Calabria, ma apre e chiude filiali ovunque (le “locali”) costrette a pagare l’obolo alla casa madre per essere riconosciute. La ‘ndrangheta è un’azienda che produce miliardi, ha le sue regole, le sue gerarchie. Ma la ‘ndrangheta, come tutte le aziende, non esporta solo prodotti, ma stili di vita. Cambia le abitudini, i linguaggi.

Forse non è un caso se la descrizione più efficace dei fini della ‘ndrangheta, la fornisca uno che affiliato non è: Nevio Coral, berlusconiano della prima ora e potentissimo politico della cintura nord di Torino. Coral ha imparato subito i meccanismi. In una cena elettorale per promuovere la candidatura del figlio Ivano alle Provinciali del 2009, sostiene «innanzitutto prendiamo uno lo mettiamo in Comune, l’altro lo mettiamo nel consiglio, l’altro lo mettiamo in una proloco, l’altro lo mettiamo in tutta un’altra cosa, magari arriviamo che ci ritroviamo persone nostre che... e diventiamo un gruppo forte».

E gli astanti lo acclamano. Lui si rivolge loro chiamandoli «imprenditori». «Perché non siamo disonesti, ma abbiamo bisogno di lavorare», dice. Perché d’accordo il rispetto degli antichi rituali e della casa madre, ma qui siamo sempre in Piemonte, la patria dei monsù travet. Peccato che gli «imprenditori» a cui Coral si rivolge siano personaggi come Vincenzo Argirò (affiliato col grado di Quartino) o Eduardo Cataldo (esponente della ‘ndrina Cataldo di Locri a Torino), oppure Gioachino Giudice (precedenti per droga) o Massimiliano Lastella (minacce, lesioni e rissa).

A ragnatela. Trasversalmente. Così s’infiltra la ‘ndrangheta. Il principio è quello antico, lo scambio dei favori. Le parole d’ordine sono diverse. Non sono più i tempi dell’omicidio del procuratore capo di Torino, Bruno Caccia. Non sono più i tempi delle guerre coi catanesi per il controllo delle bische. La ‘ndrangheta è passata a un livello più alto: ha ditte, rapporti con le istituzioni, persino i politici parlano la sua lingua. In cambio, ovviamente, grandi appalti. Che piovono sugli «amici» che hanno tirato la carretta durante le elezioni.

Quando su La Stampa vengono pubblicate le dichiarazioni del pentito Rocco Varacalli che cita nomi e cognomi degli affiliati uno di questi, Giuseppe Gioffrè, si prodiga a telefonare a tre, quattro assessori per rassicurarli. «Stavamo facendo un lavoro a Leinì - dice - quaranta appartamenti, ce li hanno tolti... per odore di mafia. Il sindaco dove lavoravamo... è rimasto... gli ha mandato uno e gli ha detto: poi le fa Gioffrè... i ponteggi li fa D’agostino e i... la carpenteria la fa Iaria... c’è qualcuno che non è sul giornale stamattina?». No, ci sono tutti. E tutti lavorano per i cantieri pubblici. Sembra quasi uno scherzo, invece è così.

Gioffrè gestisce un’impresa, la Misiti, che Coral ospita nel suo stabilimento di Leinì. Ovviamente Gioffrè non risulta titolare. Perché è così che la ‘ndrangheta s’infiltra e riesce a evitare i controlli antimafia per i lavori pubblici: coi prestanome. Ma è lui che comanda, gli altri sono burattini. La ‘ndrangheta si spartisce appalti e subappalti, sta attenta a non creare dissidi all’interno delle ‘ndrine, ma è spietata nei confronti dei concorrenti. Grazie all’aiuto dei pass partout della politica, la ‘ndrangheta ha porte aperte al credito bancario, entra in contatto con la società civile, siede accanto agli imprenditori sani, entra nei salotti dove prima le era vietato. Partecipa alle gare e, quando le perde, pretende che chi vince le paghi il dovuto: ci sono aziende che hanno sborsato 15.000-20.000 euro, altre costrette a subappaltare lavori alle aziende della criminalità organizzata, altre ancora obbligate ad acquistare materiali solo da ditte affiliate.

Il capitale degli «imprenditori» di Coral si accumula con i metodi classici: usura, droga, estorsioni. Sfacciata,la ‘ndrangheta, ha tentato il colpo addirittura con il titolare dell’armeria dietro la caserma dei carabinieri.I viaggi all’estero per procurarsi carichi di stupefacenti sono una costante. E poi ci sono le bische, i videopoker.

Un mondo variegato che raccoglie denaro sporco e poi lo ripulisce. Si comprano locali notturni, ristoranti. Altri imprenditori sani vengono attirati nell’orbita attraverso l’attività dei prestasoldi. Ma anche qui, il metodo si è raffinato. A gestire le pratiche non ci sono più gli spaccadita che inseguono i debitori: uno degli affiliati si affida alla titolare di un’agenzia assicurativa. La donna convive con un carabiniere.

È un mondo dove tutto può essere corrotto, quello della ‘ndrangheta. Un mondo alla rovescia dove, leggendo sul giornale gli arresti dei compari, uno degli affiliati può dire: «E che è ‘sta ‘ndrangheta? È cosa che si mangia». Perché ormai sono passati i tempi dei contadini e della lupara. È il tempo dei nuovi «imprenditori» in franchising. RAPHAËL ZANOTTI (La Stama 9 Giugno 2011)

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