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Fiat Melfi: Ivan, le minacce in catena




Nel Carroccio
scoppia il caso Belsito

Investimenti in Tanzania, Maroni vuole
l’espulsione del tesoriere

Se quello che si legge è vero, allora i soldi della Lega sono finiti in mano a un signore che ha affamato i militanti compiendo un reato. Il Federale lo caccerà e verranno fuori le magagne della famiglia terronica…». Le accuse di fuoco sono di un maroniano di ferro ma restituiscono il clima incandescente nel Carroccio, stradiviso anche dopo il passaggio all’opposizione.

Per la cronaca il grande «imputato» è il tesoriere Francesco Belsito, reo di aver investito 7 milioni di euro di finanziamenti pubblici del Carroccio in fondi tanzanesi e ciprioti, mentre la «famiglia terronica» nella vulgata interna sarebbe nientemeno che il tandem Manuela Marrone-Rosi Mauro, le due donne forti padane a protezione gelosa del corpo malato del Capo, Umberto Bossi.

Passano poche ore dallo sfogo e in via Bellerio interviene direttamente Roberto Maroni. «Belsito? Ne abbiamo parlato ma non c’è nulla da dire…», taglia corto. In realtà nel corso della segreteria politica proprio l’ex ministro avrebbe chiesto chiarimenti sugli strani investimenti esteri, sollevando il caso al prossimo Consiglio federale. Toni diversi dai suoi pretoriani ma la sostanza non cambia. Ieri «a Bobo interessava che la Lega si rifacesse una verginità sulla vicenda Cosentino». Demandando la vicenda Belsito «al massimo organo decisionale del movimento».

Insomma la sfida è lanciata. «La base è addirittura pronta a sfidare Bossi se i soldi non rientrano alle sezioni e Belsito e la Mauro non verranno espulsi», tuonano alcuni onorevoli. Dietro Belsito si muove infatti la pasionaria verde e quindi la moglie del Capo. Un intreccio che ha garantito al politico genovese una carriera che a molti fa storcere il naso.

Ex autista tuttofare di Alfredo Biondi con trascorsi da buttafuori nelle discoteche liguri, passato da Forza Italia al Carroccio, il futuro sottosegretario alla Semplificazione Normativa diventa velocemente il custode dei segreti finanziari del Carroccio e della famiglia Bossi, che lo nomina amministratore dell’editoriale Nord. Per poi piazzarlo nel cda di Fincantieri. In cambio Belsito scarrozza il Senatùr nelle puntate in Riviera, da Alassio a San Fruttuoso, allineandosi docilmente ai diktat del cerchio magico. Per quel che vale, un suo bigliettino da visita viene trovato nella casa genovese di Ruby «rubacuori» mentre alle cronache locali l’ex vice Calderoli è noto per il vizietto di posteggiare il Cayenne negli spazi riservati alla Questura e per il tormentone della doppia (finta?) laurea a Malta e in Inghilterra.

Naturalmente sulla vicenda dei soldi il punto è di merito. Dopo il crac Credieuronord e gli investimenti immobiliari flop in Croazia, scoprire dal «Secolo XIX» di finanziamenti pubblici destinati al partito dirottati su fondi esteri sta creando parecchi imbarazzi nel Carroccio. La Padania è sull’orlo del fallimento, «le sezioni sono alla canna del gas, ora mi aspetto un chiarimento ufficiale, la pubblicazione dei conti entro la settimana e la ridistribuzione dei fondi secondo un criterio meritocratico», attacca l’onorevole maroniano Gianluca Pini.

«Questa storiaccia pone alcune domande ai vertici della Lega», scrive Gianluca Marchi, direttore del quotidiano on line l’«Indipendenza», vicino alle posizioni dell’ex ministro dell’Interno, che sulla poltrona da capogruppo alla Camera ha accettato il passo indietro ma sull’ affaire Belsito non intende mollare. «In questi anni tutte le operazioni finanziarie sono state condotte dalla Pontidafin srl, proprietaria anche dell’immobile di via Bellerio. Siccome la società in questione ha come soci Bossi, Manuela Marrone, Giuseppe Leoni e un altro paio di esponenti, se un giorno la Lega dovesse liquefarsi o passare ad altro gruppo di potere, i beni a chi resterebbero? Ai suoi soci, ovviamente, che non sono però tutti gli iscritti al partito…».

Per gli anti maroniani, invece, «la spifferata su Belsito è una calunnia in piena regola. Al pari di quella sui festini del Trota». Dietro il Capo, infatti, «Ã¨ in corso una guerra cruenta per prenderne il potere...». (La Stampa 10 gennaio 2012)

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