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Amianto, Processo all'Eternit





LA CRISI VERSO L'ATTO FINALE La storia Undici mesi vissuti pericolosamente Dal fallito assalto nel dicembre scorso ai ministeri leghisti di Monza: un lento declino per il governo

Che cosa gli e' toccato di fare, e che cosa ci e' toccato di vedere. Il governo e' infine sopravvissuto dieci altri mesi durante i quali ha trascinato la sua carcassa in giro per il Paese e per il mondo. Il 14 dicembre la faccia di GIANFRANCO FINI, che aveva perduto la battaglia a cui era stato trascinato da pessimi consiglieri, sarebbe stata la faccia di tutti noi, se non avesse semplicemente riguardato la carriera politica del presidente della Camera, affossata nel rimpianto di pochi in quel tragico assalto alla baionetta. Un fuoriclasse della persuasione, diciamo cosi', come Silvio Berlusconi fece il capolavoro e si conquisto' una fiducia minima: 314 a 311. «Abbiamo una maggioranza numericamente ridotta ma piu' coesa», disse il premier dopo essersi liberato del tardivo e scapestrato avversario interno. La scena di quella serata d'inverno fu un antipasto, e li' si accese la stella di Domenico Scilipoti, ex dipietrista passato in maggioranza per senso di responsabilita' e presto promosso al ruolo di totem. Ce ne sono tanti come lui (arrivarono dal partito di Pier Ferdinando Casini, dall'Mpd di Raffaele Lombardo, persino dai FINIani) che si e' conquistato il monumento della legislatura per questioni antropologiche e onomatopeiche. Una maggioranza cosi', con una terza gamba cosi', non poteva che mettere fuori tutte le facce di tolla di cui disponeva. Ma ogni volta ci si chiedeva se fosse possibile scialacquare una reputazione, come a febbraio fece Maurizio Paniz, avvocato sin li' noto per la trionfale difesa di Unabomber, alzandosi alla Camera per sostenere che il presidente del Consiglio, quando chiamo' la questura di Milano per ottenere la liberazione di Ruby Rubacuori, era «nella convinzione» che la ragazza fosse «parente di un presidente di Stato». Bisognerebbe affiggere una targa sui muri di Montecitorio, disse Giampiero Mughini, per scriverci che 315 deputati avevano convalidato una cosi' luminosa panzana. Che cosa gli e' toccato di fare per restare all'impiedi, persino di spedire in carcerazione preventiva un deputato, Alfonso Papa, per reati che non erano di sangue ne' legati all'eversione: nemmeno il Parlamento degli inquisiti, quello assediato dalla procura di Milano, era riuscito a tanto. Ci volle il voto decisivo dei leghisti imbarazzati dai risultati delle amministrative e dalla rabbia dei padani: alcuni di loro si fotografarono col telefonino la mano votante per testimoniare che non c'era stata pieta'. Era luglio e sarebbero bastate le villeggiature per ricondurre i leghisti verso un garantismo rigidamente berlusconiano: Marco Milanese, che non era un ex magistrato borbonico ma il portavoce dell'amico Giulio Tremonti, venne invece salvato a settembre, e nonostante il ministro se la fosse nel frattempo svignata. In casi del genere, e dopo Papa, ci vuole piu' pelo sullo stomaco a restare in aula o a prendere un aereo per Washington? Ognuno si risponda. Tanto qui il coraggio non e' mai mancato: a maggio se ne trovo' in quantita' per nominare nove freschi sottosegretari, i piu' provenienti dall'eroico gruppo dei Responsabili, come Catia Polidori, Giampiero Catone e Bruno Cesario, e ci fu posto anche per Daniela Melchiorre. Che cosa ci e' toccato di vedere: questa signora, che gia' aveva mollato Romano Prodi e poi aveva mollato Berlusconi, era adesso tornata e se ne sarebbe ripartita dopo che il presidente del Consiglio - altra scenetta da pelle d'oca - si era intrattenuto con Barack Obama per spiegargli quanto fosse santa e urgente la riforma della giustizia. All'ex magistrato Melchiorre, ignara, servi' per aprire gli occhi sulla disposizione d'animo del premier verso le toghe. Che importa, l'andirivieni e' frenetico: il 14 si e' votata l'ultima fiducia, dopo che l'esecutivo era andato sotto sul rendiconto, e il 15 sono arrivate le medaglie: due viceministri e due sottosegretari. Fossero stati tutti li', i problemi. Si e' trascorsa l'estate a varare una manovra o un progetto di manovra dietro l'altro, sempre a cercare l'equilibrio perfetto e impossibile, l'aumento dell'Iva annunciato oggi e smentito domani, le Province si' e le Province no, il taglio alla casta sventolato di giorno e ripiegato la notte, una quadratura di bilancio giocata alla morra e mai raggiunta, come si e' visto dalle villanzone risatine internazionali. E pero' quelli della Lega intanto si davano da fare, e mentre aspettavano che il federalismo fiscale sbocciasse in una primavera italiana di cui non s'e' vista una rondine, giocavano al piccolo traslocatore istituendo quattro sedi di ministero alla Villa Reale di Monza. Senza telefoni, come tutti sanno, ma col quadretto di Umberto Bossi alle pareti. Fa niente se poi il grande capo doveva battersela nottetempo dall'albergo di montagna preso di mira da pochi ma scandalosi dissidenti. Chissa' se davvero i colonnelli padani credevano che bastasse mettere qualche dicastero in Brianza per nasconderci dietro la nomina a ministro di un Saverio Romano, mal indagato in Sicilia e mal graduato a Roma. Che cosa gli e' toccato di fare, e per quanto tempo, per FINIre comunque, e comunque senza gloria. (La Stampa 8 Novembre 2011)

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