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📰 Schermi Riflessi di Armando Lostaglio: Verso le elezioni


Il paese natio da vivere, con nuove motivazioni Di Armando Lostaglio Di recente avevamo letto: “ Le città in cui ci troviamo, per nascita o per scelta, sono sentimentalmente neutre ”. Ma neutre, perché? Perché sarà stata una forzatura della “storia” personale e collettiva ad averci portato in quel determinato luogo, prima per noi sconosciuto. E sovviene alla memoria la grande emigrazione degli anni ’60 che spopolò interi quartieri e paesi e città: a centinaia partirono per il nord, e anche all’estero. Fenomeno che si ripeterà negli anni ’80, e a seguire ancora: centinaia di studenti nelle università da Roma in su; i 50/60enni di oggi andavano a studiare a Bari o a Napoli, in rari casi a Roma o Bologna. Molti di loro sono rimasti lì per lavoro e per adattamento. Eppure le città non esercitano un potere assoluto su di noi, ma è ciò che proviamo per esse, inteso come amore oppure odio, orgoglio di appartenenza o voglia di fuggire: e tutto questo (che sia riscontrato oppure no), incide in maniera incancellabile nella nostra maniera di essere, nella nostra condotta, nella quotidianità e pure nei sogni sul futuro. Cosa ci rende “appartenenti” dunque a quel determinato luogo? Se è quello dove siamo nati ci lega certo la nostalgia per l’infanzia e l’adolescenza, i primi innamoramenti, e soprattutto le radici: i genitori e il loro lavoro, i nonni e i cugini. Ora che si andrà al voto per una nuova Amministrazione, ci saranno motivazioni nuove per i giovani che sono rimasti? Pavese scriveva “...Un paese vuol dire non essere soli, / sapere che nella gente, nelle piante,/ nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando / non ci sei resta ad aspettarti.” Abitare un luogo è altra cosa: si è in quella città o paese perché è necessario, per lavoro, per i servizi che sa offrire, per la comodità. Dall’etimo abitare è come cucirsi addosso un abito (appunto). E perché in molti fuggirebbero dal posto dove sono nati? Eppure lo amano, ogni pietra evoca un ricordo remoto, un odore, un sorriso, o una guerra (come i Ragazzi della Via Pàl , le guerre francesi nei quartieri di basolati lavici). Invece stiamo bene se abitiamo in altri luoghi magari dove non siamo neppure nati? Sarà la capacità di attrazione di ​ quel luogo non nostro che sa offrire ospitalità e magari ricchezza, regalandoci un nuovo benessere. Al sud sembra quasi che tutto rimanga immutato nel tempo, anzi, peggiora addirittura: strade sempre rovinate, bastano pochi centimetri di neve che le scuole si chiudano, i rapporti umani sempre più sfilacciati, assenza del “vicinato” di un tempo. E la nostalgia, quindi? Quella rimane relegata come un cappotto consunto che è sempre lì, in armadio, come un cimelio prezioso che il dialetto sa rinverdire, a salvaguardia di un fortino intoccabile perché è nostro, solo nostro. Conciliare nella sintesi l’ampio spettro di umori e di sapori fra il vivere e l’abitare rimarrà sempre l’enigma che è poi la molla che fa di noi un essere diverso. La fanciullezza e poi la giovinezza rimarranno sempre nel profondo di ciascuno, anche se gli anni avanzano, ovunque si sia deciso di abitare, perché, cantava Bob Dylan: Essere giovani vuol dire tenere aperto l'oblò della speranza, anche quando il mare è cattivo e il cielo si è stancato di essere azzurro.

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