(intervista all’autore)
E’ da poco uscito per Della
Porta Editori (pagg.181) il nuovo libro di Ettore Cinnella “L’altro Marx”. L’autore
(di origini lucane, Miglionico) è stato docente all’Università di Pisa di
Storia dell’Europa orientale e Storia Contemporanea. Viene considerato uno dei
massimi esperti di storia russa in Italia. Dopo il crollo del regime comunista
in URSS ha lavorato nell’Archivio centrale del Partito di Mosca, oggi
Archivio statale di storia
politico-sociale. Ha pubblicato “1905. La vera rivoluzione russa”, “Carmine Crocco. Un brigante nella grande
storia”, e “1917, la Russia verso l’abisso”.
Cinnella è ritenuto uno
storico di grande rigore, e con questo libro indaga sul vecchio Marx, il quale
in una certa misura «sconfessa» la sua precedente ideologia. Glielo abbiamo
chiesto in un recente incontro.
“Sì,
è così – ci risponde il professore -. Il mio libro è un’indagine storico-filosofica
sul vecchio Marx, la quale vuol mostrare l’interessante metamorfosi
intellettuale del filosofo di Treviri negli ultimi anni di vita. Ho cercato di evidenziare
come Marx, sotto l’influenza dei rivoluzionari russi e di nuove esperienze
intellettuali, abbia pian piano abbandonato la visione eurocentrica e la fede
nella rivoluzione proletaria in Occidente, per interessarsi maggiormente al
mondo contadino e alle comunità primitive che sopravvivono nel mondo
contemporaneo.”
Sulla scorta di una vasta e
rara documentazione, Cinnella ricostruisce dunque gli anni del ripensamento e
la sorprendente metamorfosi intellettuale dell'ultimo Marx. Così, a partire
dagli anni '70 e fino alla morte nel 1883, Marx comincia a mettere in forse i
risultati delle sue precedenti opere. I suoi legami con i militanti di
"Volontà del popolo", nota a tutti per le azioni terroristiche, che
culminarono nell'assassinio dello zar Alessandro II, contribuirono a quella
ponderazione. Assillata da dubbi, il 16 febbraio 1881, la rivoluzionaria russa Vera
Zasulic scrive a Marx l’appassionata lettera (una frase è riportata nella
quarta di copertina del libro di Cinnella) nella quale scrive: “Ma è questione
di vita o di morte, a mio avviso, soprattutto per il nostro partito socialista.
In un modo o nell’altro, dipende da Lei perfino il destino personale di noi
socialisti rivoluzionari”.
La risposta di Marx rimarrà
occultata per oltre quarant'anni. Ne scaturisce
una sorta di “giallo” : la lettera di Marx fu ricopiata e spedita a Georgij Valentinovic
Plechanov, che aveva preso le distanze dal movimento rivoluzionario populista
in nome del marxismo. Ma il padre del marxismo russo cominciò la sua carriera
occultando la lettera di Marx. Le prime notizie dell’importante documento si
ebbero a partire dal 1911 quando alcuni abbozzi della lettera a Vera Zasulic
furono trovati tra le carte lasciate dal filosofo tedesco al genero Paul
Lafargue.
Il cambio di prospettiva dell’ultimo Marx - osserva Cinnella - non riguardano
soltanto l’obscina, ma tutte le comunità precapitalistiche. Il filosofo aveva
letto, grazie a Kovalevskij, l’”Ancient Society” dell’antropologo Lewis Henry
Morgan e si era convinto che forme vitali di economia erano state distrutte non
solo da fattori economici ma soprattutto da brutali interventi politici.
A proposito delle comunità rurali russe, commenta Ettore Cinnella, “fu lo Stato
bolscevico – il quale diceva di ispirarsi a Marx – a progettare e attuare negli
anni Trenta del Novecento, il furioso assalto al mondo contadino, che provocò
un’ecatombe umana di proporzioni gigantesche e distrusse le basi materiali
dell’economia sovietica”.
Per
quali ragioni paesi giganteschi come la Russia e la Cina adottarono il marxismo
per creare Stati totalitari e potenze mondiali di carattere imperialistico?
“La
storia umana è sempre complicata – ci risponde Cinnella - e non si lascia
spiegare in poche formule. Bisognerebbe ripercorrere le vicende storiche della
Russia e della Cina dalla fine dell’Ottocento fino a tempi a noi recenti, per
capire quel che è successo in quei paesi. I comunisti russi e cinesi si
dichiaravano marxisti e, in parte, lo erano davvero (in ogni caso, credevano di
esserlo). Ma il marxismo russo nacque in violenta polemica con il populismo
russo, che mirava alla trasformazione socialista delle campagne ad opera dei
contadini ed esprimeva i bisogni della vasta popolazione rurale. Lenin esordì
attaccando un economista populista, Nikolaj F. Daniel’son, che aveva tradotto Il Capitale in russo ed era stato grande
amico di Marx. Anzi, fu proprio
Daniel’son ad avere un’indubbia influenza sull’evoluzione intellettuale di
Marx. Ma questo Lenin non lo sapeva né lo immaginava.
In
Cina Mao sembrò più vicino al mondo contadino, operando in un paese dove quasi
non esisteva una classe operaia. Ma, con la sua dissennata politica economica,
provocò, tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ‘60, la più
spaventosa carestia che la storia umana ricordi, una carestia che fece 30-40
milioni di vittime. E creò anch’egli un regime tirannico.
A
Marx, beninteso, non possiamo attribuire la responsabilità per i crimini e gli
orrori del comunismo reale. Ma una colpa anch’egli ce l’ha. La sua visione
politica è troppo semplicistica: basti pensare alla sua dottrina dello Stato
che, come mostrò Norberto Bobbio, non aiuta a capire un aspetto fondamentale
della vita politica. L’idea dell’estinzione dello Stato è una pericolosa
fantasticheria che, di fatto, sopprimendo ogni architettura costituzionale, ha
portato alla mostruosa elefantiasi dello Stato e della burocrazia e alla
nascita di tirannidi basate sull’adorazione pagana del capo.
Comunque,
ripeto, bisognerebbe ripercorrere le vicende dell’ultimo secolo per spiegare
tutto quel che è accaduto.”
Inoltre, professore, come si conciliano
la soppressione di ogni libertà e la dittatura con il messaggio di
emancipazione insito nel marxismo?
“Vi
sono, nella concezione politica di Marx, germi autoritari, che però niente
hanno a che fare con gli esiti mostruosi dei regimi fondati dai suoi presunti
discepoli. Il fatto è che i comunisti, conquistando il potere, avevano una
visione immaginaria del paese che intendevano governare e trasformare, della
sua realtà economica, della sua
struttura sociale, ecc. Poiché la realtà non si adeguava alla loro visione,
essi tentarono di violentarla e di domarla; ma, per farlo, dovettero usare la
più belluina ferocia”.
Il rivoluzionario anarchico russo
Bakunin (1814-1876) diede una valutazione positiva del brigantaggio nell’Italia
postunitaria, come Lei asserisce nel suo libro. Sentì pure parlare di Carmine
Crocco?
“Bakunin
non capì nulla del brigantaggio meridionale, vedendovi un primitiva rivolta
sociale contro lo Stato e l’ordinamento costituito. Il brigantaggio, invece, fu
senza dubbio originato da una spaventosa tragedia sociale, aggravata dalla
condotta arrogante e vessatoria dell’esercito piemontese. Ma non aveva
obiettivi sociali e tanto meno politici, neppure elementari. Bakunin vedeva
aspetti positivi in ogni forma di protesta, anche in quelle più violente e
selvagge. Dei briganti italiani, come di quelli russi, non sapeva nulla. Anche
di Crocco probabilmente non sapeva nulla, se non il nome, considerando che
persino i giornali italiani dell’epoca davano del brigante di Rionero notizie
spesso fantasiose (scrivevano, per esempio, che era un ufficiale borbonico).
Sai
che alla figura di Crocco io ho dedicato un volume, cercando di ricostruirne la
vicenda umana e storica al di là delle tante leggende, che impediscono ancora
una valutazione rigorosa della sua persona e del ruolo ch’egli ebbe nella
storia dell’Italia postunitaria.
Poiché
stiamo parlando del giudizio dei socialisti stranieri sugli avvenimenti lucani
degli anni ’60 dell’Ottocento, vorrei ricordare un fatto curioso. Nell’estate
1860 Friedrich Engels (l’amico di Marx) scrisse alcuni interessanti articoli
sull’«eroe d’Italia» Giuseppe Garibaldi e sull’epopea garibaldina; e, basandosi
sulle scarne notizie a sua disposizione, seppe individuare in Corleto Perticara il centro del movimento
insurrezionale in Basilicata. Val la pena rileggere quegli articoli. Pensa che,
ancor oggi, molti storici del Risorgimento non sanno neppure dove si trova
Corleto Perticara”.
Come si concilia oggi la lezione marxiana con un
neo-capitalismo spregiudicato? Può ancora raccogliere consensi o è del tutto
cancellata dalla storia contemporanea?
“Non dappertutto l’odierno
capitalismo è selvaggio; ma, senza dubbio, lo è in tanti paesi, in primo luogo
in Russia e in Cina. Viene da osservare che, per una tragica ironia della
storia, le forme peggiori di capitalismo eslege e disumano oggi si hanno
proprio là dove si è tentato di abolire la vecchia società con metodi barbarici
e sanguinari. In occidente, comunque, da decenni il capitalismo è temperato
dalla libertà politica, dallo Stato sociale, dalla forza dei sindacati, dalla
legislazione a tutela dei lavoratori. Le forze selvagge del capitalismo furono
domate, tra Otto e Novecento, dalle lotte operaie e dall’azione dei partiti
socialisti.”
Quanto può apparire moderno il pensiero
di Marx nel nostro mondo, in cui i valori appaiono in disfacimento e ormai
desueti sembrano i termini di proletariato e borghesia
“Il
pensiero di Marx non ci aiuta molto ad orientarci nei complessi e tragici
problema del mondo attuale. Lo stesso capitalismo ha seguìto un’evoluzione non
prevista da Marx; e le classi sociali non sono più quelle da lui descritte e
analizzate. Ho già detto prima che la sua dottrina politica, troppo
semplicistica, non può soddisfarci.
Non
c’è dunque niente di valido e attuale nell’opera di Marx? In realtà Marx fu un
grande pensatore; e, in tale veste, può ancora insegnarci molte cose. Bisogna
però saperlo leggere con mente critica, distinguendo le sue false previsioni e
le sue ubbie politiche dai geniali sguardi sul mondo della storia, sulla formazione
del mondo capitalistico, sull’analisi della merce, ecc. Interessanti sono
altresì le sue intuizioni, risalenti agli anni della vecchiaia, sull’importanza
e la dignità del mondo primitivo e contadino e sull’inserimento di quest’ultimo
nella modernità. Io sono convinto che Marx vada ancora conosciuto e scoperto.
Ma, per farlo, bisogna abbandonare i luoghi comuni e le interpretazioni
superficiali, a lungo dominanti.
Marx
ci ha dato utili strumenti intellettuali, da maneggiare con senso critico, per
capire la storia umana. Ma nulla, o assai poco, egli può dirci sulla soluzione
dei drammatici e angoscianti problemi del mondo in cui viviamo.
Secondo
me, la stella polare che dovrebbe oggi guidarci per combattere gli squilibri,
le ingiustizie, le diseguaglianze e il bestiale fanatismo non può essere che il
socialismo liberale e cristiano. Il rispetto della persona, la libertà
intellettuale e di coscienza, l’abito razionale e scientifico, la democrazia
politica, l’equità sociale sono gl’irrinunciabili valori della tradizione
occidentale e cristiana, che anche nel nostro continente sono stati tante volte
calpestati e vilipesi; ma dobbiamo metterli in pratica e
difenderli, senza cedimenti, dalla barbarie dilagante su scala planetaria”.