Il cinema e l’avanguardia
Che
cos'è il cinema? Un racconto, una visione, un'esperienza collettiva,
individuale o generazionale? I film sono i sogni ad occhi aperti, che aiutano a
guardare meglio la realtà. Ha scritto lo storico dell'arte Arnold Hauser: “Il Novecento si è svolto nel
segno del film: e, anzi, senza l'esperienza del cinema è difficile comprendere
molte avanguardie artistiche e letterarie”. Madre di tutte le avanguardie del
Novecento è il movimento dadaista, che influenzò anche giovani registi
all’inizio del secolo scorso. Idealmente il cinema d’avanguardia “intende reagire, almeno in senso ideale, non
tanto contro la società liberale e democratica, capitalistica e borghese,
tecnologica e industriale, quanto contro la civiltà che essa crea e
rappresenta. La realtà storica specifica contro cui egli insorge è proprio la
cultura di massa, in cui vede una pseudo-cultura. Fedele ai valori qualitativi,
l’artista si sente, di fronte ai valori quantitativi della civiltà moderna, in
uno stato che è insieme d’esclusione e di ribellione, si sente derelitto,
reietto, isolato. Da qui i suoi sogni di reazione e di rivoluzione, le sue
utopie retrospettive e anticipatorie, il desiderio egualmente impossibile
d’instaurare ordini nuovi o di restaurare ordini antichi”.
Per
trattare seppur brevemente di cinema d’avanguardia, non si può che – come un
ossimero - parlare di “passato”. Mentre con
gli
impressionisti le innovazioni si innestavano in una solida struttura
narrativa, gli sperimentalisti
dell'avanguardia, a partire dalla metà degli anni '20 in Francia, mirano a scardinarle non
chiedendo conferma da parte degli spettatori. Si ricercano effetti plastici
fondati su ritmi visivi o audio-visivi. Si incanala la ricerca verso
prospettive di protesta sociale (come in Vigo
e Buñuel) o si trasportano sullo
schermo esperienze astratte, pittoriche e fotografiche (Legér, Man Ray). Le tecniche usate sono le più diverse: dall'animazione
all'uso dei trucchi, il ralenti,
l'accelerazione, le sovrimpressioni, le ottiche deformanti, il montaggio, il
tutto usato in maniera spasmodica e ipertrofica. Vanno citati “Balletto
meccanico” (Ballet mécanique, 1924) di Fernand Léger, ma anche Intermezzo
(Entr'acte, 1924) di René Clair
girato assieme e interpretato tra gli altri da Picabia, Man Ray, Marcel
Duchamp, Erik Satie, Georges Auric. Surrealisti tanto da essere definiti
anti-surrealisti dai loro autori sono La conchiglia e l'ecclesiastico (La
coquille et le clargyman, 1926) di Germaine
Dulac con sceneggiatura di Antonin
Artaud, e Il sangue di un poeta (Le sang d'un poète) di Jean Cocteau. Dal gruppo surrealista le
cose migliori provengono da Luis Bunuel che nel 1928, insieme a Salvador Dalì, realizza Un
cane andaluso (Un chien andalou). Realizzò quindi L'età d'oro (L'age d'or)
sempre in collaborazione con Dalì , cui seguì il documentario "Las
Hurdes" (1932) realizzato in Spagna. Diventerà nel dopoguerra tra
i maggiori cineasti del secolo. In una concezione
astratta si inserisce Film,
un cortometraggio
del 1964,
unica sceneggiatura
cinematografica di Samuel Beckett e diretto da Alan
Schneider. E’ stato scritto nel 1963, prodotto nel 1964 a New York
e presentato la prima volta nel 1965 alla Mostra del
Cinema di Venezia. L'attore protagonista è Buster Keaton,
una figura emblematica nella storia del
cinema muto.
Un capitolo
a parte merita Guy Debord, autore
del cinema-noncinema, avanguardia assoluta e per certi versi mai eguagliata,
talvolta emulata. Mémoires, prodotto e "non scritto" da Guy Debord,
aveva fissato in qualche misura le origini del Situazionismo. Si tratta di paragrafi, sentenze, frasi o più
semplicemente parole che egli aveva ritagliato da giornali e di cui aveva
riempito dei fogli, con successivi rimaneggiamenti dell'amico Asger Jorn che ci
aveva messo del suo, ritoccandoli con scarabocchi, macchie, linee colorate.
In realtà la trama c'era, andava soltanto ricostruita: bisognava individuare gli indizi e decifrare quegli scarti che richiamavano le vicende dell'Internazionale lettrista, di quei gruppi mutevoli di giovani che vissero a Parigi tra il 1952 ed il 1953, tra cui studenti, poeti, cineasti divenuti girovaghi e ubriaconi che parlavano dell'arte del futuro come rovesciamento delle situazioni.
In realtà la trama c'era, andava soltanto ricostruita: bisognava individuare gli indizi e decifrare quegli scarti che richiamavano le vicende dell'Internazionale lettrista, di quei gruppi mutevoli di giovani che vissero a Parigi tra il 1952 ed il 1953, tra cui studenti, poeti, cineasti divenuti girovaghi e ubriaconi che parlavano dell'arte del futuro come rovesciamento delle situazioni.
Si può parlare di avanguardia anche in Bergman che in “Monica e il
desiderio” sfida lo spettatore con gli occhi della protagonista che guardano
come una sfida in macchina.
Innovative sono le opere Together di Lorenza Mazzetti (italo-britannica),
Tetsuo, A
snake of June, VITAL del giapponese Tsukamoto, Happiness e Palindromes dello statunitense Todd Solondz, La leggenda di Kaspar Hauser
di Davide Manuli - con Vincent Gallo, Low tide di Roberto Minervini. Sono diversi i cineasti italiani che hanno
dettato i tracciati di una avanguardia avvolta in un limbo di spinte innovative
e militanti. Carmelo Bene con Nostra Signora dei Turchi e per certi aspetti La ricotta di Pier Paolo
Pasolini. I primi film di Tinto Brass: L’urlo, Chi lavora è perduto, Drapout, La
vacanza, fino a Caligola. E il sempre discusso
Marco Ferreri la cui opera omnia è sempre in bilico fra il racconto ed una
inquieta spinta onirica. Concluderemmo con autori fondamentali che hanno
contribuito ad ampliare il concetto di avanguardia. Bernardo Bertolucci è
riuscito a crearsi un grande spazio d’azione. Ha tentato godardiane e brectiane
operazioni avanguardistiche; ha filosofato di sé, di rivoluzione, di
rivoluzione delle forme, di doppi e di plurimi, di vita, di arte, dando senso
concreto ad ogni forma d’arte, che nel suo cinema è fortemente connotato. Ancora Pier
Paolo Pisolini con Teorema si interroga dei vari modi in cui l’individuo borghese può
inaridirsi e distruggersi: fuga nel deserto della solitudine in cerca di un dio
che non risponde più, nell’erotismo, nell’immobile silenzio, nell’assurdo
dell’arte, senza possibilità di redenzione di fronte alla rivelazione di un
altro mondo di grazia rappresentato dall’ospite misterioso. Solo la serva ne
trarrà una spinta "positiva", poiché la sola non contaminata dalla
disumanizzazione della borghesia. Uno dei film più religiosi mai realizzati. E in particolare La ricotta, con Orson Welles.
Federico Fellini si presenta e si maschera da clown, suo scopo è
sbalordire, sorprendere, barare fino in fondo con la carta dello spettacolo e,
di più, farsi spettacolo egli stesso. Annoterà, a margine del suo smisurato
amore verso il cinema che “il cinema è
l’unico modo che consente all’uomo di entrare in competizione con Dio”. Michelangelo Antonioni si confronta con la trasformazione della
società e con i tempi interiori dell’individuo. Con Blow-up fu un
gioco di apparenze e di scarse verità, con splendide inquadrature ricche di
particolari.
Ecco,
questa è avanguardia di pensiero, prima ancora che di azione, che nel cinema
prende forma; ed è, il cinema stesso, “l’unico
luogo dove le opere si muovono e lo spettatore resta fermo” (Ennio Flaiano). Un mondo di sogni,
perché (sempre con Flaiano) “sognatore è un
uomo con i piedi fortemente appoggiati sulle nuvole”.